Stallo in Venezuela

[Original version in English published on Links International Journal of Socialist Renewal here.] di Steve Ellner e Federico Fuentes, traduzione di Giuseppe Volpe, Da ZNetitaly 13 maggio 2017
Il Venezuela è stato scosso nelle settimane recenti da manifestazioni e contromanifestazioni quasi quotidiane, con gli oppositori di destra del presidente socialista Nicolas Maduro che cercano di far cadere il suo governo. Mentre i media dipingono questi eventi come una ribellione popolare contro un governo autoritario, i sostenitori della rivoluzione bolivarista a favore dei poveri avviata dall’allora presidente Hugo Chavez affermano che il paese sta assistendo a un’intensificazione di quella che è una campagna controrivoluzionaria in corso per cercare di riportare al potere le élite tradizionali del Venezuela e cancellare le conquiste ottenute dalla maggioranza povera sotto Chavez e Maduro. Federico Fuentes, intervistato da Steve Ellner, è un noto analista della politica venezuelana e latinoamericana e docente pensionato della Universidad de Oriente venezuelana offre la sua visione degli eventi recenti. *** A proposito degli attuali disordini in Venezuela i media sono stati unanimi nella loro versione degli eventi: il regime di Maduro è agli sgoccioli a causa della schiacciante opposizione che incontra dal popolo, compresi i settori più poveri che in precedenza avevano appoggiato il governo, e perciò la sua sola risorsa per la sopravvivenza consiste nella repressione violenta. Quanto è accurata questa narrazione mediatica? E’ a malapena una conclusione sballata. Non c’è migliore indizio dell’ingannevolezza della narrazione mediatica prevalente che la natura spaziale delle proteste antigovernative agli inizi del 2014 note come la “guarimba” e di quelle di nuovo quest’anno. Le proteste sono concentrate nelle aree di classe superiore e media i cui sindaci appartengono all’opposizione. La strategia dietro le proteste consiste in disobbedienza civile di massa, scontri con le forze dell’ordine e diffusa distruzione di proprietà pubbliche per diffondersi nelle aree più povere. Certamente i segmenti popolari hanno una lunga tradizione di manifestazioni di piazza, particolarmente contro la carenza dei servizi pubblici. Ma i settori popolari sono rimasti largamente passivi, anche se con maggiori eccezioni ora rispetto al 2014. Ovviamente l’opposizione sta contando su un sostegno popolare attivo maggiore che nel 2014. In modo simile il Partito chavista Socialista Unito del Venezuela (PSUV) è stato più danneggiato dall’astensione elettorale dei chavisti disillusi di quanto lo sia stato da quelli che hanno finito per votare per l’opposizione. Tale comportamento elettorale è ciò che spiega la sconfitta chavista alle elezioni dell’Assemblea Nazionale del dicembre 2014. Ma i capi chavisti hanno tuttora un’impressionante livello di capacità di mobilitazione, come è stato dimostrato in due marce recenti, una nella giornata venezuelana dell’indipendenza il 18 aprile e l’altra il 1° maggio. La precaria situazione economica della nazione e la completa svolta politica nell’emisfero rafforza l’opposizione. Mentre nelle crisi politiche del passato, quali il colpo di stato tentato nel 2002 e lo sciopero generale del 2002-2003, il governo Chavez è stato in grado di contare sul sostegno di altre nazioni latinoamericane, tra cui, in alcuni casi, alcune non di sinistra. Oggi i governi limitrofi del Venezuela, nonostante la loro considerevole impopolarità e lo scontento interno, hanno esplicitamente fatto propria la causa dell’opposizione venezuelana. Ma a questo punto descriverei la situazione politica in Venezuela come uno stallo, tutt’altra cosa dall’affermare che il governo è agli sgoccioli. Naturalmente, considerata la volatilità politica del recente passato, le previsioni possono al massimo essere provvisorie. In definitiva sono i segmenti popolari ad avere l’ultima parola. Se dovessero unirsi alle proteste allora l’affermazione che il governo Maduro è, come dici, agli sgoccioli, sarebbe corretta. La situazione sarebbe simile a quella dell’Unione Sovietica nel 1991 quando i minatori cominciarono a marciare contro il governo segnalando in tal modo il crollo del regime. Persino alcuni ex sostenitori del governo parlano oggi di una svolta autoritaria da parte di Maduro. C’è della verità in tale accusa? Per rispondere alla tua domanda va segnalato che quella del Venezuela non è una situazione normale, con quella che i politologi chiamano una “opposizione leale” che riconosce la legittimità del governo e rispetta le regole del gioco. Dunque parlare delle azioni del governo senza porle in contesto – come sono inclini a fare i media industriali – è fuorviante. I capi dell’opposizione di oggi sono, per la maggior parte, gli stessi coinvolti nel colpo di stato e nello sciopero generale del 2002-2003, gli stessi che si sono rifiutati di riconoscere la legittimità delle procedure elettorali nel 2004 e 2005 e che hanno costantemente contestato la legittimità del Consiglio Elettorale Nazionale salvo nei casi in cui il governo è stato sconfitto. Sono anche gli stessi che si sono rifiutati di riconoscere il trionfo di Maduro alle elezioni presidenziali del 2013, con la conseguenza di una dozzina di morti, e hanno poi promosso quattro mesi di proteste nel 2014 con il ricorso alla disobbedienza civile su vasta scala assieme a una considerevole violenza, causando 43 morti, tra cui sei membri della guardia nazionale. Il periodo attuale comincia con il trionfo dell’opposizione alle elezioni dell’Assemblea Nazionale nel 2015, quando il presidente di tale organo, Henry Ramos Allup, annunciò immediatamente che il cambiamento di regime sarebbe stato realizzato nel giro di sei mesi e successivamente l’Assemblea Nazionale ha respinto gli stanziamenti di bilancio dell’esecutivo. Per tutto il tempo l’opposizione ha respinto l’appello del governo a un dialogo nazionale, pretendendo concessioni come precondizione per negoziati. Le proteste che hanno avuto luogo nell’ultimo mese sono una ripetizione della guarimba del 2014. I capi dell’opposizione eludono del tutto il problema della violenza, salvo dichiarare che vi si oppongono in senso astratto. Praticamente ogni giorno convocano marce nella parte orientale abbiente di Caracas che tentano di raggiungere l’area centrale dove si trova il palazzo presidenziale. Portavoce del governo hanno dichiarato più volte che il centro di Caracas è interdetto alle marce dell’opposizione e le forze di polizia impiegano comunemente i lacrimogeni per impedire il passaggio. Il motivo del rifiuto del governo è evidente. Con un gran numero di oppositori nell’area centrale per un arco di tempo indefinito seguirebbero massiccia disobbedienza civile, l’assedio del palazzo presidenziale e violenze, assieme a un caos incontrollabile. Gli scontri sarebbero aggravati dalla copertura dei media internazionali che hanno sempre redatto i loro servizi a favore dell’opposizione. Il fatto che ogni giorno nelle ultime numerose settimane i principali capi dell’opposizione abbiano convocato marce per raggiungere il centro di Caracas, anche se sanno benissimo che si verificheranno scontri, suggerirebbe che la loro strategia per conquistare potere preveda disordini e scontri. La natura spaziale delle proteste è cruciale. Si può dire che il governo è giustificato nell’evitare che le proteste raggiungano il centro di Caracas. Ma può essere posta la domanda: i chavisti tollererebbero marce pacifiche provenienti dalla metà orientale abbiente della città che marcino attraverso roccaforti chaviste nei settori popolari? La domanda è distorta dal fatto le marce dell’opposizione quasi invariabilmente comportano disobbedienza civile e violenze. Diresti che sia i chavisti sia l’opposizione stanno assumendo posizioni intransigenti? Entrambi gli schieramenti giocano duro, ma al fine di comprendere che cosa è in gioco è indispensabile una descrizione dello scenario politico. Il fatto è che la natura democratica di alcune delle decisioni del governo è discutibile, in particolare nel caso di due di esse. Un mese fa l’ex candidato (in due occasioni) alla presidenza e governatore dello stato di Miranda, Henrique Capriles, è stato privato del diritto di partecipare alle elezioni a causa di accuse di corruzione. In secondo luogo le elezioni regionali e comunali che erano programmate per dicembre 2016 sono state rimandate perché altri processi elettorali proposti le hanno spinte nel futuro. Anche se Maduro ha indicato che il suo partito è pronto a partecipare a tali elezioni una data non è stata ancora fissata. Se le elezioni si tenessero oggi i chavisti molto probabilmente subirebbero delle perdite. I duri del movimento chavista, guidati dal deputato dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello, sono ovviamente al comando e appoggiano una linea aggressiva nei confronti dell’opposizione. La voce più visibile della “linea morbida” è l’ex vicepresidente Jose Vicente Rangel che è a favore di gesti che incoraggino negoziati e rafforzino quelli che nell’opposizione sono contro gli scontri di piazza. Analogamente, nell’opposizione il controllo è in mano ai radicali. Hanno chiarito che una volta al potere incarerebbero i capi chavisti su accuse di corruzione e di violazioni dei diritti umani. Il loro appello al “No all’impunità” è uno slogan in codice. Significa in effetti una caccia alle streghe contro il movimento chavista e una repressione che aprirebbe la via all’imposizione di politiche neoliberiste impopolari. Di fatto il neoliberismo ha caratterizzato la piattaforma di Capriles nelle due elezioni presidenziali del 2012 e 2013. C’è un deciso rapporto tra le tattiche e l’intolleranza radicali manifestate dall’opposizione, da un lato, e, dall’altro, il programma neoliberista che sarebbe imposto nel caso l’opposizione tornasse al potere. Per sintetizzare, la narrazione che definisce “autoritario” il governo Maduro è una sfacciata distorsione di ciò che sta accadendo. D’altro canto i capi chavisti si sono occasionalmente allontanati dai principi democratici. Le loro azioni, tuttavia, vanno contestualizzate. Quale è stato l’impatto dell’interferenza del governo statunitense e dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), assieme al mutato atteggiamento di certi governi della regione? Gli attori stranieri cui ti riferisci non si sono posti al di sopra della politica interna del Venezuela al fine di promuovere una soluzione pacifica di un conflitto che potrebbe ben degenerare in una guerra civile. Le dichiarazioni diffuse dalla Casa Bianca e da Luis, Almagro, segretario generale dell’OAS, coincidono interamente con la narrazione e le rivendicazioni dell’opposizione. Anziché schierarsi nel conflitto interno del Venezuela, l’OAS avrebbe dovuto sollecitare un dialogo nazionale e nominare un comitato non di parte per investigare gli eventi disputati. La decisione del governo Maduro di ritirarsi dall’OAS è stata una reazione alla partigianeria dell’organizzazione che è servita unicamente a esacerbare la polarizzazione politica. L’OAS e altri attori internazionali rafforzano la narrazione dell’opposizione venezuelana che fa un tutt’uno di problemi economici pressanti e del presunto autoritarismo del governo Maduro. Questa linea rafforza inavvertitamente la mano dei duri dell’opposizione. Il solo modo per giustificare il cambiamento di regime con mezzi non elettorali e l’intervento di attori stranieri, quali l’OAS, consiste nel tentare di dimostrare che la nazione è diretta a una dittatura e che viola sistematicamente i diritti umani. Ma i moderati all’interno dell’opposizione – anche se a questo punto non hanno un leader nazionale visibile – sono a favore di sottolineare i problemi economici al fine di raggiungere i settori popolari della popolazione, attirare alcuni dei chavisti disillusi e al tempo stesso accettare un dialogo con rappresentanti del governo. I moderati perciò pongono l’accento più sui problemi economici che su quelli politici. In questo senso l’intromissione di attori stranieri che mettono in dubbio le credenziali democratiche del governo venezuelano serve solo a rafforzare la posizione dei radicali dell’opposizione e a polarizzare ulteriormente la nazione. In termini degli attuali problemi economici: quanto gravi sono le scarsità? Il problema della scarsità di prodotti fondamentali è innegabile, anche mentre canali mediatici come il Wall Street Journal affermano che la nazione è sull’orlo della fame di massa. La fame è una piaga che affligge gli strati inferiori di altre nazioni latinoamericane, anche se non tutte. Ma gli indici chiave da un punto di vista sociale e politico sono il confronto con gli standard in Venezuela negli anni precedenti. Il deterioramento è stato certamente acuto rispetto al periodo precedente il forte declino dei prezzi del petrolio a metà del 2015. Che cosa prevedi succederà nell’immediato futuro? Il governo Maduro è condannato? Che cosa pensi della proposta Assemblea Costituente? La proposta di Maduro di un’assemblea costituente è un misto riguardo alla possibilità di conseguire una maggiore stabilità. D’altro canto è un’iniziativa, qualcosa di nuovo, intesa a sbloccare l’ingorgo in cui si trova bloccata la nazione. Uno scenario favorevole sarebbe che i chavisti fossero in grado di attivare la loro base e quella di movimenti sociali e ottenere un grado importante di partecipazione elettorale. Inoltre, nello scenario migliore, delegati all’assemblea costituente formulerebbero proposte realizzabili per far fronte a problemi pressanti, quali la corruzione, e i chavisti al potere dimostrerebbero una sincera ricettività a esse. In breve, un’assemblea costituente basata sulla partecipazione dal basso potrebbe essere qualcosa che cambia i giochi. Nel caso dello scenario alternativo la proposta dell’assemblea costituente sarà vista come un artificio per guadagnare tempo e accantonare il processo elettorale. Steve Ellner sta attualmente coordinando un numero sulle politiche di classe dei governi progressisti latinoamericani per Latin American Perspectives, una rivista di cui è redattore esterno. Il suo testo ‘Implications of Marxist State Theories and How They Play Out in Venezuela” è previsto uscire sul prossimo numero di Historical Materialism.

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